domenica, settembre 02, 2007

Chi ha paura di Google?


[Da un articolo pubblicato da The Daily Bit del 1 settembre 2007]


The Economist
(www.economist.com) presenta oggi, in Who's afraid of Google? copertina a tutta pagina, una domanda rivolta ai propri lettori "Who’s afraid of Google?" (trad. "Chi ha paura di Google?")

Un dubbio terrifico tutt'altro che infondato che serpeggia ormai da tempo tra gli utenti e i competitor dell'azienda di Mountain View.

Google infatti evoca da sempre sentimenti ambivalenti.

Molti ad esempio usano i suoi strumenti, senza scrupoli, per inserire foto di famiglia, blog, video, date e appuntamenti, email, mappe, contatti, social network, fogli di calcolo e di lavoro e informazioni riservate, come quelle sulla propria carta di credito.
In sintesi, informazioni in numero incalcolabile sulla propria vita privata risiedono sui computer della più potente azienda della new economy del XXI secolo. E pare che siano in arrivo novità, come il GPhone, il nuovo cellulare di Google, o tools per schedulare informazioni mediche personali.

Secondo altri, il potente motore starebbe diventando un Grande Fratello che controlla le nostre vite, timore confermato dalle affermazioni di Edward Felten, Professore di Information Security nei corsi di Computer Sciences all’Universita’ di Princeton: "Google potrà presto, quando lo desidera, stilare dossier privati di qualsiasi individuo".

Sapevate ad esempio che Google (secondo una nota ancora da verificare nei "term of service") potrebbe detenere i diritti di proprietà intellettuale sui documenti che gli utenti condividono mediante i suoi applicativi? (http://punto-informatico.it/p.aspx?i=2056021)

E nonostante, con il motto “Don't be evil”, Google abbia sempre cercato di esibire di sé una immagine pulita e trasparente, il dubbio che qualcuno stia spiando nella nostra vita privata diventa sempre più certezza.
I suoi fondatori, Larry Page e Sergey Brin e con Eric Shmidt, amministratore delegato, hanno infatti esplicitamente dichiarato a più riprese che i loro intenti non sono massimizzare il profitto ma migliorare il mondo.
Troppi sermoni, si chiede l'Economist?

Il problema sollevato dall'editoriale di oggi su The Economist è che Google è, e rimane, un’azienda, una delle più potenti al mondo, in lotta con numerosi conflitti di interessi, e il cui unico scopo è fare profitto.

Ma che un'unica azienda abbia a disposizione così tante informazioni riservate di individui e aziende, con la possibilità di incrociare tali dati con quelli derivanti dai servizi del Googleware non fa dormire sonni tranquilli, tanto che anche l’Unione Europea starebbe ponendo dubbi sul rispetto della privacy.

E Google, non dimentichiamolo, ha realizzato il più potente supercomputer del mondo: composto da innumerevoli cluster di server, disseminati su datacenter posizionati per tutto il globo. Dettagli che Google tiene ben segreti. L'infrastruttura è talmente flessibile, che ogni risorsa può venire riallocata in tempi brevissimi. Ad esempio se nasce una inaspettata domanda di attivazione di Gmail, Goole provvede istantaneamente a riallocare lo spazio dei suoi server per questa richiesta immediatamente.
Questa infrastruttura permette a Google di lanciare qualunque servizio desideri in tempi quasi istantanei e a costi e rischi aziendali pressoché nulli, con una competitività ingeguagliabile dalla concorrenza, innescando pericolosi fenomeni di monopolio su scala planetaria.

Una azienda che macina capitali e che, avvicinandosi al suo decimo anno di vita, dichiara un fatturato nel 2006 in crescita del 67% a 3,2 miliardi di dollari! Mentre le stime per il 2007 prevedono che Google raccoglierà il 28,3% del fatturato pubblicitario statunitense investito su internet! Un nuovo balzo in avanti rispetto al 24,7% del 2006.

Non male per un'attività che vive sui ricavi di piccoli annunci di testo che compaiono in seguito ai risultati di ricerca: 50 centesimi di dollaro in media ad ogni clic.

Ma anche i ricavi derivanti dal “pay-per-click” hanno un loro limite fisiologico. E cosi’ Google si sta muovendo verso nuove aree di mercato, come l’acquisizione strategicamente importante di DoubleClick, tanto da fare esclamare Shar VanBoskirk (del Forrester Research) che «con questa operazione Google è il leader assoluto [...] Non c'è più nulla che non abbiano".

E allora puntiamo l'occhio su dove Google Inc. sta effettivamente investendo: e scopriamo che Sergey Brin ha investito 2,6 milioni di dollari nell’impresa della moglie Anne Wojcicki. La donna, analista finanziaria, ha fondato un’azienda che si occupa di genetica. Google è anche entrata nel capitale sociale di questa società, che si chiama 23andMe. Per farla breve: Google ha stabilito una partnership strategica con un’azienda impegnata nel campo della genetica.

L'azienda, che prende il suo nome dalle 23 coppie di cromosomi che ognuno di noi possiede nel proprio corredo genetico ha come mission quella di "developing new ways to help you make sense of your own genetic information" e cioè aiutare la gente a conoscere le proprie informazioni genetiche (con test innovativi da fare autonomamente), a capirle e a metterle a disposizione del genere umano (tramite la diffusione e l'interconnessione del sapere sull'argomento) e ovviamente di Google stessa.

Dopo i dati personali, le attività, le password, gli interessi, all'azienda di Mountain View cosa mancava di raccogliere se non il corredo genetico di ogni individuo?

E allora guardiamo l'impressionante video (www.masterplanthemovie.com) confezionato dall'Università di Scienze applicate di Ulm, in Germania.





E la censura? Google non ne è immune, dato che ha dichiarato «Rimuovere i risultati delle ricerche non è coerente con la missione di Google. Ma non dare alcuna informazione (o mettere a disposizione un servizio scadente) lo è ancora meno». Con questa linea difensiva elementare quanto opinabile Google ha annunciato al mondo il lancio della versione cinese del suo search engine. E ha così fatto sapere di avere chinato al testa di fronte al governo di Pechino, da sempre in prima linea nel controllo delle informazioni trasmesse via Internet.

Una scelta di business, insomma. Che ha deluso gruppi che si battono per la libertà di espressione come Reporters sans frontières: “E’ davvero una brutta notizia per l’Internet in Cina”, ha fatto sapere l’associazione francese. “Fino ad ora Google era l’unico motore di ricerca che non si era piegato. Di conseguenza, era il governo cinese a doversi attivare per bloccare le informazioni. Ora lo farà direttamente Google”.


Speriamo, allora, di non dover mai leggere un editoriale, come quello ironicamente scritto da Giovanni di Mauro sull'Internazionale del numero 691 della sua rivista, uscito il 4 maggio 2007.


“Maggio 2017. Ultim’ora. Google compra Internet. Il famoso motore di ricerca ha pagato 2.455 miliardi di dollari, cash: “Abbiamo capito che non ci conveniva comprare Internet a pezzetti”. Negli ultimi vent’anni Google ha comprato YouTube, Doubleclick, Aol e, l’anno scorso, Microsoft. Un messaggio di congratulazioni è arrivato dal governo cinese. Nessun commento, invece, da Amnesty International e Reporters sans frontières: i siti e i server di posta delle due organizzazioni non erano raggiungibili a causa di imprecisate difficoltà tecniche".

"Fantascienza? - continua di Mauro - Mica tanto. O almeno, non più del progetto (vero) di Google per un ascensore con cui andare nello spazio. Google compra una società dopo l’altra, licenzia i dipendenti che aprono un blog e, per la prima volta, è diventato il marchio che vale di più al mondo (62 miliardi di dollari), superando Microsoft. Intanto già tutti si chiedono: come facevamo senza Google?"

Google: "Don't be evil!"


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